I dati di mercato dicono che il 2023 registra un aumento di consumi di carne bianca. E che per garantire una sostenibilità economica occorre un maggior coordinamento lungo l’intera filiera: allevatori, trasformatori e distributori.
La carne rappresenta una voce di spesa più importanti del carrello alimentare degli italiani. A confermarlo è Denis Pantini, responsabile del settore agroalimentare della società di ricerca Nomisma. «Nel 2023 l’inflazione e il calo nei consumi stanno generando un “effetto sostituzione”: aumenta infatti l’acquisto di carni bianche, più economiche, a scapito di quelle rosse».
Dottor Pantini, qual è il quadro del settore agroalimentare che ci restituiscono le vostre ricerche?
L’agroalimentare in Italia rappresenta uno dei principali settori dal punto di vista socio-economico. L’intera filiera, dalla produzione agricola alla distribuzione, esprime un valore aggiunto di circa 140 miliardi di euro e un export di 60 miliardi. Negli anni, la capacità delle imprese italiane di arrivare sui mercati più lontani è cresciuta, sebbene la polverizzazione del tessuto produttivo limiti il numero delle imprese esportatrici a meno del 20% del totale (su oltre 54mila aziende). Oggi, al pari di molti altri comparti, l’agroalimentare è inserito in uno scenario dai risvolti molto complicati: inflazione, rallentamento economico e perdita del potere d’acquisto dei consumatori stanno infatti portando a una riduzione dei consumi alimentari che si riscontra trasversalmente a livello internazionale.
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Denis Pantini, Nomisma
Cosa ci dicono le statistiche riguardo ai consumi di carne degli italiani?
La carne rappresenta la prima voce di spesa alimentare degli italiani (a livello domestico), con un peso di circa il 20% sul totale. Negli ultimi dieci anni il consumo si è ridotto in quantità di circa un 3% a fronte di un aumento a valore del 13%. In questo 2023, contraddistinto appunto da inflazione e calo nei consumi, quelli di carne hanno sofferto soprattutto di un “effetto sostituzione”: vale a dire un aumento dei consumi di carni bianche, più economiche, a scapito di quelle rosse.
Che consiglio possiamo dare alle industrie del settore carni, alla luce dell’attuale situazione socio economica?
Di tenere duro e di fare “filiera”. Solo attraverso un maggior coordinamento tra la parte allevatoriale e della trasformazione da un lato e confronti con la parte distributiva (in particolare GDO) dall’altro, si può garantire una sostenibilità economica a tutte le parti in causa, nell’auspicio di una ripresa economica e di uno scenario di mercato con meno incertezze.
Recentemente ha partecipato a un evento di Centro Carni Company. Che ritratto della filiera delle carni ne ha ricavato?
Ho recepito la volontà e il desiderio delle imprese di ottenere informazioni più dettagliate, sia sulle evoluzioni legislative che influenzano il loro ambito di lavoro e sia sulle tendenze del mercato: in questo modo si facilita la collaborazione tra i vari soggetti coinvolti nella catena produttiva. Siamo convinti che il dialogo e l’unità siano fondamentali – soprattutto in periodi difficili come quello attuale – per affrontare con efficacia le molteplici sfide che il settore deve fronteggiare.
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